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VIOLENZA NELLE SCUOLE: COME EVITARE CHE DOCENTI E ALUNNI VIVANO L’INCUBO FAR WEST

Esistono giornate “dedicate” per molte professioni e declinazioni delle stesse a seconda del taglio che si vuole dare alla riflessione collettiva. Per esempio, il 12 marzo si celebra la giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari. A quando la giornata di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale della scuola? Infondo, la professione dell’insegnante ha aspetti in comune con quella del medico: entrambi salvano vite umane.

Si tratta di un problema non solo disciplinare per la scuola ma anche giudiziario, istituzionale, sindacale e culturale. Negli ultimi anni, con un crescendo impressionante documentato anche da episodi di cronaca sul territorio pugliese, i docenti sono stati vittime di violenza fisica e morale da parte di alunni e genitori. Aggressioni più o meno gravi che il sistema scuola registra con preoccupazione, incoraggiando la denuncia all’autorità giudiziaria. Bisogna ribaltare il modus operandi messo in atto fino a questo momento: sottovalutare i segnali, lasciar correre, minimizzare.

Una decina di giorni fa il ministro dell’Istruzione Valditara ha preso una posizione precisa sul tema con una nota del suo dicastero e una circolare diffusa ai dirigenti: l’Avvocatura generale dello Stato potrà difendere in sede civile e penale insegnanti e ATA che dovessero essere vittime di violenze ed aggressioni mentre sono nell’esercizio delle loro funzioni.

Si può fare altro per evitare che la violenza dilaghi ulteriormente nelle scuole trasformandole in un far west? Magari potrebbero bastare poche nuove regole, non necessariamente repressive e quasi a costo zero.

Bisognerebbe riconoscere al personale della scuola, vittima di violenza, il diritto ad un periodo di congedo retribuito per superare il trauma (adeguatamente certificato dal punto di vista sanitario) e dare la possibilità, se viene richiesto, del trasferimento in altra sede di lavoro in corso d’anno. La violenza subita potrebbe, infatti, ripetersi e, sicuramente, anche il singolo episodio avrà incrinato la serenità e il benessere del lavoratore.

In generale, occorre allargare alla società civile la riflessione sul ruolo di pubblico ufficiale del docente e su cosa comporti l’offesa ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Si è creato, purtroppo, un campo di forze contrapposte con insegnanti da un lato e genitori dall’altro. Schierati gli uni di fronte agli altri, in molti casi sono incapaci di confrontarsi, in altri sono arroccati su posizioni di autodifesa. La classe docente ha accumulato stanchezza psicologica anche a causa delle travagliate vicende contrattuali e  le famiglie hanno da gestire situazioni sempre più complesse. In moltissimi casi l’alleanza scuola-famiglia vacilla.

Il burnout rientra nella categoria dei disturbi lavoro-correlati più frequenti negli insegnanti. Per i docenti il rischio che lo stress si trasformi in una vera e propria sindrome con disturbi anche fisici ed esaurimento emotivo è elevatissimo anche in condizioni di “normalità”. Lo è, a maggior ragione, quando la pressione aumenta a causa di condizioni critiche “eccezionali” come quella di chi subisce violenza.

In questo scenario già incandescente si inserisce la difficoltà di dover gestire, all’interno delle istituzioni scolastiche, quel tipo di violenza fisica e psichica tra studenti inquadrabile nelle fattispecie del bullismo e cyberbullismo. Secondo una ricerca dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) pubblicata proprio in questi giorni, dal 2018 ad oggi in Italia sono cresciuti soprattutto gli episodi legati all’online, diffusi soprattutto nelle regioni meridionali e tra soggetti sempre più giovani. L’indagine, che mirava a fotografare, in generale, i comportamenti degli adolescenti nel periodo post-pandemico su un campione rappresentativo in tutte le regioni, dice che in Puglia il 16% degli adolescenti è stato vittima almeno una volta di atti di bullismo o cyberbullismo.

La Segreteria